mercoledì 22 marzo 2017

Orrore e follia nel genio di Poe

di Sandro D. Fossemò



"C'è il reale e c'è l'ignoto
e c'è una porta che li separa:
io voglio essere quella porta"

(Jim Morrison)





     La psicoanalisi ha scoperto che vi può essere un legame psicologico tra la percezione geniale ela dissociazione mentale presente in modo conflittuale ma creativo nell'artista che nella propria nevrosi soffre di disturbi percettivi. La concezione meccanicistica della psichiatria positivistica ha invece quasi sempre bollato l' "anormalità" come "malattia mentale", negandone così le implicazioni creative che sono profondamente legate al mondo della percezione.
Proprio come avviene a quell'ostrica che, grazie a un piccolo difetto della conchiglia, permette a un granello di sabbia di penetrare all'interno fino a generare una perla così avviene per chi ha un disturbo nella percezione della realtà dove la perla diventa l'arte. La psicoanalisi junghiana si presta discretamente a uno studio che lega l'inconscio con l'espressione geniale e nevrotica del visionario americano perchè la percezione del mito  è direttamente influenzata dall'archetipo. Anche se non mi sogno neanche lontanamente di introdurre un discorso analitico sulla complessa e geniale mente del noto poeta posso comunque provare a immaginare un tracciato psicologico ma solo intuitivo della notevole creatività artistica dello scrittore  e affermare senz'ombra di dubbio che spesso le menti più brillanti sono quelle più sensibili e,in un certo senso,anche le più “devastate” a causa di un singolare modo di percepire la realtà che oltrepassa quella comune per indagare meglio su quella “nascosta”. Poe scriveva in Marginalia proprio in merito alla percezione:«That intuitive and seemingly casual perception by which we often attain knowledge, when reason herself falters and abandons the effort, appears to resemble the sudden glancing at a star, by which we see it more clearly than by a direct glaze;or the half-closing the eyes in looking at a plot of grass, the more fully to appreciate the intensity of its green.»
      Va anche precisato e ricordato che considero inaffidabile gran parte della psicoanalisi freudiana e pertanto rigetto in toto le assurde interpretazioni di Maria Bonaparte (1882-1962). Credo che sia anche sbagliato e deterministico risalire alla psiche dell'autore solo partendo dal contesto critico delle sue opere o analizzando l'espressione onirica esclusivamente come una rivelazione inconscia del represso. Non possiamo mai essere certi delle soluzioni psicoanalitiche a causa della complicata psiche umana, specie se geniale.      
     Prima di analizzare le esperienze visionarie va sottolineato che Poe faceva uso di sostanze stupefacenti, tipo il laudano, che sicuramente alteravano la sua predisposizione alla dissociazione mentale1 a favore di un'amplificata percezione della realtà in grado di liberare proprio quei contenuti simbolici dell'inconscio presenti nell'arte poesca. E' ovvio che queste droghe aiutatassero solo in parte la liberazione della creatività di Poe, causata senz'altro da molteplici fattori.

Letteratura metasimbolica
      
   Se l'artista,come sostiene la psicoanalisi, mediante l'immaginazione può simulare il sogno fino a diventare un interprete dell' inconscio vuol dire che egli è in grado di rilevare e amplificare l'emisfero onirico della realtà per mezzo dell'osservazione. L'intreccio tra sogno e il reale diventa un mezzo per indagare e svelare gli enigmi della realtà. Se noi viviamo all'interno di un sogno ma senza esserne  consapevoli a causa della nostra limitata percezione allora significa che per mezzo di un' arte surreale possiamo invece superare i nostri limiti percettivi. Nella letteratura poesca, l'universo onirico si trasforma in un linguaggio simbolico diretto a manifestare il delirio metafisico dell'anima in una sintesi “metasimbolica” originata dall'archetipo presente nell'inconscio collettivo. Così il terrore di Poe  diventa proprio una forma d'arte metasimbolica e gotica in grado di dar vita a quella immaginazione mitopoietica che si manifesta inconsciamente nel reale. Se il mito rivela la nostra vera identità nascosta è ovvio che l'immaginazione archetipica che vive e regna dentro di noi non è solo un mezzo per conoscere noi stessi ma è soprattutto una chiave percettiva per comprendere il mondo.   In quest'ottica Poe inserisce  figure  gotiche per evidenziare il conflitto tra il razionale e l'ignoto, vale a dire tra la luce della ragione e il buio abissale della psiche umana. Basta pensare alla torcia che è un simbolo ricorrente in vari racconti e che rappresenta proprio l'illuminazione dell'anima. Nel racconto “Il ritratto ovale” (The Oval Portrait,1842) la torcia rischiara la presenza occulta di una vampira. Un cuore romantico che batte dentro una mente razionale è tipico della genialità di Poe.
    Il sogno e l'arte sono legati complessivamente all'universo del mito e molto di meno a quello del represso ma se la psicoanalisi vede nell'arte un atto di compensazione tra le esigenze dell'inconscio e il mondo cosciente allora possiamo ipotizzare, in linea massima, l'espressione mitopoietica come un atto di sfogo dei desideri umani di voler tornare all'antico o al primitivo di fronte ad una realtà moralmente e razionalmente repressiva. In questo senso, i miti diventano una sorta di forze primordiali in grado d'intervenire inconsciamente all'interno dell'espressione artistica proprio come avveniva con gli dei dell'antica Grecia. Un esempio è proprio il racconto “Il diavolo della torre”(The Devil in the Belfry) dove un misterioso individuo disorienta,attraverso la manipolazione di un orologio, una società funzionale e meccanicistica.Quell'oscuro e demoniaco distruttore che opera contro un sistema perfetto può benissimo essere visto come il dio Pan alle prese con il disumano mondo tecnicistico. 
  Lo psicoanalista junghiano James Hillman(1926-2011) interpreta l'immaginazione e il mondo soprattutto dal punto di vista mitologico dove gli archetipi strutturano la nostra attività immaginaria e onirica. E' una considerazione limitata ma sicuramente inappropriata quella di delegare all'arte il solo compito di esprimere una dimensione di mezzo tra una realtà oppressiva e una conseguente immaginazione che invece appaga e compensa le nostre intime aspirazioni. L'arte può benissimo essere anche una proiezione metafisica del mitologico nella realtà. Questo è possibile attraverso la creazione di un'espressione metasimbolica in cui il reale viene trasceso per lasciare spazio all'immaginazione onirica dell'antico o dell'ancestrale rappresentato proprio dall'archetipo che è all'origine del mito.

Il sogno è la morte
   
   L'analisi della morte veniva raccontata da Poe proprio nell'incubo psicologico in cui il reale si fondeva magistralmente con il sogno nella dissociazione mentale del protagonista che , immerso in un labirinto quasi senza tempo ,agiva con lucida follia in un diabolico piano di morte. L' anima e la morte venivano follemente e razionalmente intrecciati nell'incubo. Quanto più scendiamo nell'abisso dell'anima tanto più finiamo per scorgere la morte. In perfetta simbiosi con l'affermazione di Hillman il quale sostiene che il «sogno è l'anima e l'anima è morte».2 Il legame tra il sogno e la morte è antichissimo e non a caso per i primitivi il mondo dei sogni è il mondo dei morti. Tale concetto riaffiora nella psicoanalisi di Hillman che, esagerando nel rifiutare nettamente l'idea freudiana dell' inconscio come manifestazione delle repressioni diurne, vede nel sogno solo l' Ades, ovvero il regno dei morti,il “mondo infero” governato dagli dei o dai miti dell'antica Grecia.
  Secondo me, l'interpretazione dell'arte poesca ben si addice a quell'immaginario mitologico proposto da Hillman con la sua “psicologia dell'antichità” perchè i sogni emergono dal quel regno dei morti in cui dimora l'anima. Basta pensare al racconto Ligeia in cui il protagonista di notte scorge un'ombra dietro il riflesso dell'incensiere quasi a indicare l'anima che vaga nel regno dei morti. Non a caso, nell'universo onirico di Poe permaneva spesso il mito ancestrale come richiamo simbolico della morte dove si sviluppava proprio il “terrore dell'anima”. 
    Un'altra caratteristica che possiamo associare tra il grande narratore e il pensiero di Hillman consiste nel constatare che le immagini oniriche siano dirette verso un obiettivo finale, vale a dire che i simboli , tipo quelli degli animali che negli incubi di Poe appaiono come gatti neri o cavalli , perseguono una finalità specifica protesa verso la morte. Questa associazione è fattibile perché nella psicoanalisi le figure dei sogni hanno una specifica premeditazione. Quando si entra nel “mondo infero” di Hillman sembra quasi di entrare nel “mondo infero” di Poe visto che la comprensione del sogno dello psicoanalista si avvicina  all' interpretazione degli incubi dello scrittore, proprio nel contesto legato al processo di individuazione del simbolo, che nell'arte poesca appare spesso come immagine gotica.  
    Un autore che possiamo accostare,per quanto riguarda il genere metafisico e simbolico, allo scrittore americano è Franz Kafka (1883 -1924) proprio a causa del legame tra sogno, realtà e mito. Esiste una certa  affinità tra le figure come il castello o il cavallo presenti  nell'arte kafkiana e poesca. Kafka descrive nel racconto “Un medico di campagna” (Ein Landarzt,1916-17) dei cavalli non terreni, potenti e indomabili  che somigliano al misterioso destriero di Metzengerstein

Il visionario

    Secondo Poe, colui che sognava ad occhi aperti sviluppava molta fantasia ed era in grado di comprendere la realtà nella sua complessità al prezzo di uno stato di dissociazione visionaria diretta a esprimere una "suprema forma d'intelligenza".Gli stati di alterazione psichica erano un mezzo per sviluppare fantasia creativa perché permettevano all'inconscio di emergere vertiginosamente nella sfera percettiva. Una caratteristica della percezione geniale consiste nella compenetrazione tra sogno e realtà provocata da stati mentali alterati, forse dovuti a traumi psicologici o all'assunzione di sostanze stupefacenti ,in cui avviene la dissociazione dal reale. Carl Gustav Jung (1875-1961) analizza ottimamente il fenomeno in cui l'individuo perde la cognizione della realtà per lasciare spazio all'inconscio.
«La forze eruttate dalla psiche collettiva portano confusione e cecità mentale. Una conseguenza della dissoluzione della persona è lo scatenamento della fantasia che, evidentemente, è nè più nè meno che l'attività specifica della psiche collettiva. Questa irruzione di elementi fantastici introduce violentemente nella coscienza materiali e impulsi della cui esistenza non si aveva alcun sospetto. Si scoprono tutti i tesori del pensiero e del sentimento mitologico. Non è sempre facile resistere a impressioni talmente travolgenti. Questa fase va annoverata tra quelle che rappresentano un vero pericolo nel corso dell'analisi, pericolo da non sottovalutarsi.
      Si comprenderà facilmente come questa condizione sia talmente insopportabile che l'individuo desidera porvi termine al più presto possibile, dato che la somiglianza con l'alienazione mentale è finanche troppo stretta. Come è noto, la forma più comune di pazzia , la demenza precoce o schizofrenia, consiste essenzialmente nel fatto che l'inconscio espelle e soppianta, in larga misura, le funzioni della mente cosciente. L'inconscio usurpa le funzioni del reale e vi sostituisce una propria realtà. I pensieri inconsci diventano udibili sotto forma di voci, oppure sono percepiti come illusioni o allucinazioni corporee, ovvero si manifestano sotto forma di giudizi insensati, ma irremovibili, sostenuti in opposizioni alla realtà.
      Allorchè la persona si dissolve nella psiche collettiva, l'inconscio viene spinto entro la coscienza in un modo simile, ma non identico. L'unica differenza rispetto allo stato di alienazione mentale è che l'inconscio viene portato in superficie mediante l'analisi cosciente; almeno questo è ciò che accade al principio dell'analisi, quando si devono ancora superare forti resistenze di ordine culturale. Più tardi, dopo l'abbattimento di barriere erette nel corso di anni, l'inconscio invade la coscienza spontaneamente e talvolta irrompe nella mente come una fiumana. In questa fase la somiglianza con l'alienazione mentale è strettissima. Però si tratterebbe di vera follia solo se i contenuti dell'inconscio diventassero una realtà che prendesse il posto della realtà cosciente; in altri termini, se il soggetto vi prestasse fede senza riserve.»3 (Il corsivo è mio)
      Solo una mente preparata come quella di Poe era pronta ad accogliere le invasioni dell'inconscio senza crollare completamente nella totale alienazione mentale perché lo scrittore era genialmente in grado di sfruttare la disfunzione percettiva come mezzo conoscitivo della realtà, servendosi dell'analisi razionale della propria fantasia. Di conseguenza, Poe non era uno schizofrenico che aveva completamente perduto il senso del reale ma piuttosto era un forte visionario, pieno di talento, capace di interpretare coscientemente le proprie visioni. L'analisi junghiana sulla dissociazione della realtà con particolare visioni trova quasi un certo riscontro quando lo scrittore descriveva il suo stato mentale nei momenti in cui "sognava a occhi aperti" nel saggio Marginalia, facendo proprio riferimento in modo impreciso a delle improvvise “fantasie”.4
«Esiste tuttavia una categorie di fantasie sottilissime e delicate, che non sono pensieri e a cui finora ho trovato assolutamente impossibile adattare la lingua. Uso a caso la parola fantasie, perché devo usare una parola; ma il concetto che generalmente si collega con questo termine non è neppure lontanamente riferibile alle ombre di cui stoparlando. A me sembrano di natura psichica, piuttosto che intellettuale. Insorgono nella mente (quanto di rado,purtroppo!)soltanto nei periodi di tranquillità intensa, di perfetta salute fisica e mentale ed esclusivamente nei momenti di fusione, e trapasso, fra i confini del mondo desto e di quello dei sogni. Di queste fantasie mi rendo conto solo quando sono proprio sull'orlo del sonno, e sono consapevole del mio stato. Sono andato persuadendomi che questa condizione esiste solo per un immisurabile lasso di tempo, che pure riesce ad affollarsi di queste ombre di ombre: mentre per un pensiero risolto è necessaria una certa durata nel tempo. Queste Fantasie comportano un piacevole stato estatico, che supera di tanto i massimi piaceri del mondo della veglia e di quello dei sogni, quanto il paradiso dei Normanni supera il loro inferno. Man mano che insorgono queste visioni io mi metto a considerarle con un rispettoche, in qualche misura, modera e placa l'estasi.»5
     Un' analisi molto importante adatta alla vena artistica dello scrittore    americano e simile a quella di Jung, dove lo stato dissociativo nevrotico della psiche aiuta l'artista a comprendere profondamente  la dimensione labirintica del reale,ci viene data  dallo psicoanalista Augusto Romano in un saggio riferito proprio a Poe.


«Fuor di metafora, il tesoro è la libido inconscia, le energie creative che giacciono nel profondo e che le strutture di un mondo ordinato e di una salda coscienza tendono a rifiutare. Questo rifiuto ha molte e fondate ragioni,giacché il rischio è grave e si chiama inflazione psichica e psicosi. D'altro canto la vita non alimenta da energie nuove man mano si inaridisce e si spegne. Non a caso Jung ha messo in evidenza la funzione in qualche modo positiva della nevrosi, intesa come tentativo estremo della totalità psichica di richiamare l'Io a una maggiore integrazione dei processi inconsci e ,di conseguenza, ad una più articolata visione della realtà. La condizione umana è, da questo fondamentale punto di vista, drammatica e contraddittoria, giacché l'uomo è combattuto tra l'esigenza di conservare il contatto con l'inconscio e il pericolo di esserne riassorbito.» 6

La schizofrenia

      Sospetto che proprio la dissociazione dal reale abbia reso possibile a Poe di essere un grande esegeta della psiche. Voglio dire che lo scrittore, da come ci viene testimoniato anche dalle riflessioni in Marginalia, dissociandosi coscientemente ma involontariamente dalla realtà, vale a dire senza cadere vittima dell'alterazione psichica , finisca per analizzare e studiare l'anima fino a comprendere paradossalmente, in modo dissociativo, quel volto oscuro della psiche descritto nei personaggi schizofrenici dei racconti.Quindi è totalmente falso e assurdo quello che sostiene Maria Bonaparte.
«Edgar Allan Poe, per impedire alla sua natura strana, instabile e ossessionata di far di se stesso un vero criminale o un vero pazzo, aveva ancora a disposizione un'altra “droga”, una droga il cui uso non è alla portata di tutti; intendo parlare dell'inchiostro, con cui fissò sulla carta la sua scrittura bella e curata, le ''immagini'' macabre, orribili ma consolatrici, che lo sollevavano ancora dal suo lutto.» 7
       Lo scrittore al contrario usa la propria dissociazione non per salvare se stesso dalla follia ma per indagare nella follia del prossimo. La scrittura non è stata un mezzo per evadere dalla propria pazzia ma per immergersi nella pazzia altrui. E' assai probabile che Poe sia stato in un certo senso uno psicologo geniale,talmente brillante da usare la propria nevrosi per comprendere la schizofrenia umana. In questo senso, Poe era mentalmente sano perché, a differenza dei folli,era bravo nel comprendersi e nel comprendere. Solo una persona sana di mente può capire quando la ragione si trasforma in “lucida follia” perché diviene eccessivamente strumentale o maniacale a causa di un grave disturbo dissociativo  destinato a sfociare nella schizofrenia. 
    In merito alla malattia mentale, Poe arrivava a definire il “genio malefico dell'inganno”(imp of the perverse) una sorta di “demone della perversità” o d'incitamento interiore presente nell'animo umano e diretto a farci compiere gesta d'immane crudeltà a causa del malato piacere nel compiere del male. Arriviamo a voler fare un'azione orribile senza un motivo comprensibile ma solo per il gusto di farlo proprio perché sappiamo di non doverla compiere.

La fantasia analitica

     Il potere creativo  dell'immaginazione consente al genio di sfruttare  i     messaggi dell'inconscio. Una dimostrazione è l'analisi all'immaginazione   che    consiste    nella capacità mentale di orchestrare quei pensieri imprevisti, fatti di  immagini o emozioni che sembrano essere apparentemente insignificanti e disordinati, fino a trasformarli in arte compiuta.8 Poe aveva   sviluppato   quello  che   egli  stesso definiva la "fantasia analitica" per indagare con un forte raziocinio gli  oscuri   incubi dell'animo umano in modo   da   immergerli,  secondo  una    fredda   logica  matematica,   in   fantasiose e suggestive   tenebre    musicalmente   surreali. Anche Nietzsche credeva nella validità della razionalità analitica per organizzare l'ispirazione creativa.
«In verità la fantasia del buon artista o pensatore produce continuamente cose buone, mediocri e cattive, ma il suo giudizio, altamente affinato ed esercitato, respinge, sceglie, collega; come ora, dai taccuini di Beethoven, si vede che egli ha composto le più belle melodie e poco per volta e quasi trascegliendo da molteplici spunti. Chi giudica meno severamente e si abbandona volentieri alla memoria imitativa, potrà in certe circostanze divenire un grande improvvisatore; ma l'improvvisazione  artistica rimane molto in basso rispetto al pensiero d'arte scelto con serietà e consforzo. Tutti i grandi furono lavoratori instancabili non solo nell'inventare, ma anche nel respingere, vagliare, trasformare e ordinare.» 9
   La fantasia analitica dello scrittore si lega all'idealismo estetico di Schelling (1775-1854) in cui il genio riesce a interpretare l'energia vitale della natura in senso artistico attraverso l'attività psichica cosciente che gli permette di scoprire l'arte della natura presente nell'inconscio. Secondo Schelling, la natura è una sublime espressione artistica universale :una poesia inconscia in grado d'ispirare la coscienza dell'artista geniale. Un concetto simile lo troviamo anche nell'idealismo trascendentale kantiano di S.T. Coleridge (1772-1834), dove l' immaginazione dell'artista sorge in funzione di una elaborazione creativa di elementi inconsci. Schelling e Coleridge sono autori ideali per intendere la formazione estetica di Poe.

La creatività

   Lo scrittore rivelava la chiave dell'ingegno creativo e percettivo nell'introduzione al racconto Eleonora dove veniva spiegato il valore inventivo che può avere la “pazzia”.
«Discendo da una stirpe famosa per vigore di fantasia e per la veemenza delle passioni. Gli uomini mi hanno chiamato pazzo; ma nessuno ancora ha potuto stabilire se la pazzia è o non è una suprema forma d'intelligenza; e se la maggior parte di quanto è superiore, di quanto è profondo, non deriva da qualche malattia del pensiero, o da speciali modi dello spirito che pigliano il sopravvento sul senso comune. Colui che sogna ad occhi aperti sa di molte cose che sfuggono a quanti sognano solo dormendo. Nelle sue nebbiosi visioni, egli afferra sprazzi dell'eternità e trema, al risveglio, di vedere che per un momento si è trovato sull'orlo del grande segreto. Così, a lembi, apprende qualcosa della sapienza del bene, e un pò più della conoscenza del male. Pur senza timone nè bussola, penetra nell'oceano sterminato della "luce ineffabile" come gli avventurieri del geografo nubiano, che aggressi suntmare tenebrarum, quid in eo esset exploraturi.
    Diciamo, dunque, che sono pazzo. Riconosco, almeno, che ci sono due diverse condizioni nella mia esistenza mentale: una condizione di lucidità incontestabile riguardo alla memoria di quanto avvenne nella prima epoca della mia vita e una di oscura in incertezza riguardo al presente e alla memoria degli eventi successi nella seconda grande epoca della mia vita.» 10
     Era proprio l'analisi cosciente dei pensieri inconsci che permetteva a Poe di sfruttare la sua dimensione inconscia in senso produttivo dietro l'analisi coerente della propria fantasia analitica.  Lo scrittore lo  affermava anche nel racconto Berenice:«Le realtà del mondo m'impressionavano come visioni e niente più che visioni, mentre le folli idee della regioni dei sogni erano divenute, più che la materia dell'esistenza quotidiana, la mia esistenza per se stessa in assoluto.»11
     Il tema dell'inventiva analizzata nel notevole saggio “Creatività,la sintesi magica” del famoso psichiatra Silvano Arieti(1914 -1981) ricorda molto l'estro dell'autore americano, molto simile al concetto di “creatività straordinaria”. Per lo psichiatra, a differenza dello schizofrenico o del sognatore, solo l'individuo creativo è capace di gestire razionalmente,vale a dire senza lasciarsi coinvolgere, il processo creativo proveniente dal fantasticare, dal sogno,dalla meditazione oppure dall'assunzioni di droghe e quindi dalla dissociazione dalla realtà. Lo schizofrenico invece crede ciecamente alla propria fantasticheria a differenza del sognatore che pur mantenendo un certo distacco dai propri sogni ne rimane però molto suggestionato, tanto da sperare che sia possibile viverli,nonostante le innumerevoli avversità. Comunque non possiamo escludere che il grande poeta,essendo vissuto in epoca romantica, non sia stato anche un po' sognatore, almeno in gioventù.
     Questo sta a dimostrare che le diverse espressioni artistiche, non potendosi manifestare mai nei limiti della sola razionalità, tendano a essere una diretta conseguenza delle forze pulsionali dell'inconscio, le quali esigono una rara e forte elasticità della percezione che va oltre la normalità. Pertanto "genio e sregolatezza" si compenetrano quando paradossalmente l'essere dissociati dal reale diventa il sale di quell'intelligenza associativa che permette al sogno di emergere nella realtà, in una creativa "estasi visionaria".

La sincronicità e la sintropia

     La discesa agli inferi di Poe diventa un delirio nevrotico che si trasforma in un mezzo dissociativo ma necessario non solo per esprimere la potenza del sogno nella creatività artistica ma forse anche per stimolare una certa sincronicità attraverso l'archetipo, nell'abisso dell'arte metasimbolica che esprime una rappresentazione del mondo quantico,dove tutto è connesso nella coscienza collettiva universale.
     Le esperienze visionarie dello scrittore americano ricordano in particolar modo gli studi dello psichiatra Rick Strassman sugli effetti psichedelici della dimetiltriptamina (DMT) prodotta dalla ghiandola pineale. In questi stati di coscienza espansa, provocati spontaneamente o con la meditazione oppure da determinate sostanze, si riesce a liberare la mente dagli abituali e rigidi schemi mentali per avere accesso a esperienze mistiche dove si possono avere intuizioni brillanti. Può darsi che gli stati visionari provocati  dalla DMT possano facilitare la connessione sincronica dell'archetipo, anche con l'influenza di quelle entità intelligenti che Strassman ipotizza presenti negli stati alterati di coscienza.
     Dato che Jung e Pauli hanno collegato le “connessioni significative” al futuro viene spontaneo associare la sincronicità alla sintropia. Conseguentemente, nell'arte metasimbolica di Poe possiamo ipotizzare la descrizione di eventi sintropici quando gli avvenimenti premonitori della morte vengono simbolicamente descritti sotto forma di visioni oniriche. La sintropia è un fenomeno scoperto dal grande matematico Luigi Fantappié (1901 – 1956) che ha teorizzato un tempo che scorre al contrario , vale a dire dal futuro verso il passato. In altre parole, avviene che la causa si trova nel futuro e l'effetto nel passato per il raggiungimento di uno scopo. Se dai racconti di Poe la sintropia ha luogo nei sogni allora possiamo dedurre,visto che il «sogno è l'anima»(Hillman),che l'anima sia probabilmente il cuore della sintropia. A questo punto viene spontaneo chiedersi se i sogni premonitori,senza escludere quelli legati alla morte, siano dei fenomeni sintropici, come avviene proprio nei racconti di Poe. Seguendo questa riflessione possiamo provare a proporre un altro accostamento tra Hillman e  Fantappié  legato alla possibilità che la sintropia si manifesta in qualche modo anche nel processo di individuazione.


Note

1) Per chi volesse allargare lo studio sugli effetti che hanno le droghe allucinogene sulla percezione della realtà,anche se Poe faceva uso di oppio e non di mescalina o LSD, si legga il famoso saggio “Le porte della percezione” di Aldous Huxley e le ricerche degli psichiatri Stanislav Grof e Rick Strassman.
2) J. Hillman, Il sogno e il mondo infero, Est,1996, pag. 9
3) Carl Gustav Jung,Inconscio, occultismo e magia,Newton Compton editori,Roma,1985,pag. 167-168)
4)Dobbiamo fare un po' attenzione all'esatta traduzione del termine “fantasie”. Dal testo originale si legge “fancies” che possiamo tradurre anche come “immaginazioni”.Il testo in lingua inglese lo trovate nel sito 'Marginalia by Edgar Allan Poe' (Graham's Magazine, March, 1846) con il seguente link:
http://www.eapoe.org/works/info/pmmar.htm
Poe, comunque, nel seguito del testo chiarisce meglio il termine “fancies” come “impressioni psichiche”.
5) Marginalia, in Filosofia della composizione e altri saggi, Napoli, Guida,1986,pag. 89)
6) Augusto Romano,Poe e la psicologia analitica junghiana:nostalgia delle origine e immagini del femminile in E.A. Poe dal gotico alla fantascienza,Mursia,pag. 267.
7) M. Bonaparte , Edgar Allan Poe. Studio analitico,Newton Compton,Roma 1976,vol. I, pp 96-97 in Daniela Fargione , Giardini e labirinti:l'America di Edgar Allan Poe, Celid, 2005 , pag.82
8) Cfr. Introduzione di Carlo Izzo in Tutti i racconti e le poesie,Casa Editrice Le Lettere,Firenze,1990,pag.XXIV
9)F. Nietzsche, Credenza dell’ispirazione, in Umano troppo umano
10) Eleonora in Poe,Racconti del terrore,Oscar classici Mondadori,Arnoldo Mondadori
Editore, Milano, VII rist. 1999, pag. 196)
11) Berenice in Poe,Racconti del terrore, idem, pag. 74




















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