lunedì 25 gennaio 2016

Lo Schermo della Morte

di Sandro D. Fossemò 

"In questa vita ci mostrano soltanto i trailer"
(Philip K. Dick)

   
   

    

   Ero seduto in una scomoda sedia di legno, posta in un angolo oscuro e isolato di un vecchio e malconcio cinema dove c'erano pochi spettatori. Ad un tratto, cominciavo a sudare e a sentirmi stordito. Avevo bevuto moltissimo e non stavo per niente bene. Nell'aria avvertivo  la presenza della solitudine dello spirito umano che emanava il proprio vuoto dentro a quel locale chiuso e buio.
Mi sentivo molto solo e in qualche modo imprigionato da una tetraggine deprimente che non mi lasciava quasi respirare tanto che avevo la sensazione di soffocare irreparabilmente ma, nonostante tutto, non avevo voglia di andarmene. Ormai ero entrato in quell'odioso cinema  e ci dovevo restare. L'alcool mi aveva senz'altro turbato. Se fossi uscito non avrei di certo migliorato la situazione sapendo di aver perso l'occasione di guardare un bel film ma, naturalmente, nel caso lo spettacolo non mi fosse piaciuto fin dall'inizio, di certo  allora me ne sarei andato subito via. Quindi, sopportai quel malessere che non mi lasciava libero e tranquillo con la speranza che tra qualche istante sarebbe iniziato, finalmente, lo spettacolo.
A volte mi annoiavo così tanto che avevo voglia di dormire senza chiedermi come mi sarei sentito una volta svegliato in quel luogo senza aver visto bene il film. Forse mi sarei addormentato di nuovo ma non potevo chiudere gli occhi e lasciarmi rapire dal sonno dopo aver pagato il biglietto.
Molto probabilmente quella indifferenza o noia era causata dal fatto che ero entrato senza sapere  bene di quale film si trattasse. Lì dentro non solo non conoscevo neanche una persona ma non potevo nemmeno farmi notare da qualcuno a causa di quella separazione indistruttibile che il buio generava.
«Non si potrebbe» provai a domandare per scherzo a uno che mi dava l'impressione   di conoscere vagamente  e  che si era accomodato accanto a me, «accendere la luce?»
Quello rispose a bassa voce: «Con la luce non puoi guardare bene lo spettacolo, non credi?»
Gli risposi con una battuta: «Sì è vero... ma possiamo guardarci noi che, dopotutto   partecipiamo allo spettacolo.» 
«Potremmo pure farlo, certo, però ciò non avrebbe senso.»
«Perché?»
«Scusa, ma non ho alcuna voglia di scherzare con te! Sono venuto qui per vedere il film e non per ascoltarti. Adesso lasciami in pace e per favore non venire più al cinema ubriaco!»
«Come s'intitola questo film?», chiesi a una coppia di fidanzati che si stava sedendo proprio di fronte a me.
«Ma  non lo sai!»
«No»
«Reality Shock!»
« Oh mio Dio! Che brutto titolo!», risposi inorridito.
Gli spettatori stavano quasi  immobili e un po' annoiati. Nessuno notò il mio stato di sofferenza psicologica. Avevo bevuto davvero follemente ed ero del tutto fuori di testa. Non vedevo l'ora che iniziassero a far girare la pellicola, così avrei potuto immaginarmi, sognatore pazzo come sono, di essere l'attore principale del film e, in quel modo, tutti si sarebbero concentrati su di me, dandomi la soddisfazione di farmi sentire un personaggio importante, ma purtroppo ben presto rimasi deluso perché non riuscivo a seguire lo spettacolo in quanto il film proiettato  scorreva molto rapidamente e con una trama insignificante e sconnessa.
Alzai la testa e, appena vidi il fascio di luce del proiettore, mi accorsi quanto fosse inutile quel raggio luminoso che proiettava uno spettacolo futile e quasi impossibile da seguire.
Un pipistrello di colore bruno era entrato, stranamente, dentro la sala del cinema e svolazzava in modo agitato.  Ad un tratto, si fermò per qualche secondo in alto al centro. Il chirottero, improvvisamente, riprese a volare dritto fino a penetrare e scomparire sulla superficie dello schermo. 
Sul capo mi cadde un mozzicone di sigaro. Me l'aveva gettata addosso uno strano uomo dal palco di sopra che barcollava un po' come se fosse una marionetta. Mi osservava silenziosamente come se attendesse una mia reazione nervosa o aggressiva. Più esattamente sembrava, o meglio avevo la sensazione, che volesse sfidarmi. Quello che mi dava fastidio era che, pur sapendo che era stato lui, non ero in grado di poterlo identificare perché il buio rendeva irriconoscibile il suo volto e la sua sagoma.
Mi alzai, lo guardai con un po' di rabbia e gli esclamai: «Perché butti la cicca qua sotto!»
L'uomo rispose: «Oh!, ti prego di scusarmi ma credevo di essere solo, come puoi vedere qui non c'è nessuno.»
«Cooosa!.» Mi voltai subito e vidi che il cinema era diventato, improvvisamente e inspiegabilmente,  vuoto. Non c'era proprio un'anima viva e persino quello strano  signore era, all'istante,  scomparso.
Quando mi girai a guardare il film, vidi che gli spettatori erano, misteriosamente, diventate dei manichini per vetrine di negozi ed erano situate molto vicino alla base dello schermo del cinema. I manichini venivano assurdamente mutilati da brevi filmati con i bordi simili alle pellicole cinematografiche. Quelle riprese erano delle proiezioni che ritraevano trailer di film famosi o  eventi storici importanti come il nazismo o la guerra  del Vietnam.  I filmati duravano pochi secondi e scorrevano nello schermo, incessantemente, dall'alto verso il basso come grandi e affilate lamiere taglienti. I manichini  che qualche istante prima erano persone in carne  e  ossa ora  rimanevano  calmi e passivi, dato che non davano alcun segno di  sofferenza ma neanche di piacere. I movimenti dei loro corpi di plastica davano l'impressione che fossero carenti di un proprio controllo mentale poiché quando  venivano fatti a pezzi  non reagivano  minimamente. 
Non credendo a ciò che vedevo, gridai a quei manichini insensibili: «Ma cosa vi sta succedendo!».
Essi ruotarono lentamente  i propri corpi mutilati e, quando si voltarono un attimo verso di me, mi dissero: «Ssssh!.. Sssh.!... Fai silenzio...Non distrarci... Guarda il film e stai zitto!».
Terrorizzato mi alzai e tentai di andarmene. Alcune teste decapitate di manichino fuoriuscirono dallo schermo come le palle di un cannone e mi piombarono vicino ai piedi. Mi fermai. Appena mi videro pietrificato e inorridito, si misero a ridere sadicamente a squarciagola, ma una mi fissò freddamente negli occhi e, appena mi notò così agitato da essere prossimo alla follia, fece un sorriso macabro e mi chiese con alterigia: «Non finisci di guardare il film?».
Ero frastornato e sentivo d'impazzire. Quella maledetta testa continuava  a insistere: «Non mi rispondi? Ti ho chiesto se non finisci di guardare il tuo film!» 
Non avevo più la forza di rispondere.
«Allora?», insisteva quel volto ripugnante.
Rimasi in silenzio.
«Mi devi rispondere!»
«Quale film? Io vedo solo trailer  confusi o filmati storici casuali. Questo spettacolo è senza senso oltre che disgustoso.»
«Per noi è il film giusto  al momento giusto. Anzi è la nostra vita»
Mi feci coraggio e a stento dissi: «Questo... questo cinema è terribile, davvero terribile!»
«Invece è bellissimo! Mi devi credere.»
«No! Fuggirò via da qui!»
«Fallo, fallo pure ma ricordati che la porta d'uscita coincide con la porta d'entrata di un altro cinema all’infinito... Non  hai via di scampo!»
«Sì, forse hai ragione... ma perché devo per forza guardare?»
«Perché, come ti ho detto, è anche il tuo film o meglio è il nostro film. Comunque puoi sempre andare verso la base dello schermo e partecipare anche tu così ti adatterai alla realtà prendendone parte totalmente e la smetterai di lamentarti come uno sciocco e di voler scappare come un matto.»
«Ma temo che quei filmati mi ridurranno in mille pezzi, oppure diventerò anche io un manichino come voi! Non voglio fare quella brutta fine!»
«Ah! Ah! Ah! Non sentirai niente! Fidati di me. Avvicinati allo schermo e poni fine al tuo dolore per sempre.»
Tremante e sconvolto feci qualche passo in avanti verso il grande schermo.
Quando giunsi lì vicino non ebbi più il coraggio di avvicinarmi ancora perché sospettavo che fosse molto pericoloso.
La testa  continuava imperterrita a fissarmi e, nel vedermi  indeciso, mi chiese: «Perché ancora ti ostini?»
«Perché? Vuoi sapere davvero perché? Te lo dico subito. Evidentemente sono un diverso!»
«E con ciò? Essere diversi non significa di certo essere migliori o liberi.»
«Sì, certamente,» indietreggiai e tornai con calma a sedermi, «ma attenderò tranquillamente la fine del film, o meglio di queste maledette riprese e poi... si vedrà.»
La testa rimase inquieta e silenziosa, ma continuava a osservarmi in modo diabolico.
«Davvero? Non lo sai che il film non termina mai?», udii dire di nuovo dall'alto con una voce cupa e tremula. Era sempre lui, l'uomo irriconoscibile, quel dannato individuo ombroso che stava al palco di sopra. 
«Ancora tu!» gridai. Infuriato dalla sua presenza nascosta e occulta gli dissi ad alta voce: «Perché non scendi e non  ti fai vedere così parliamo faccia a faccia?»
«Come vuoi», rispose con molta tranquillità.
Saltò giù al piano terra e  si avvicinò a me con calma. Finalmente, potevo riuscire a vederlo da presso. Era una creatura infernale! Era orrendo! Aveva un volto inespressivo e senza lineamenti. Al posto degli occhi c'erano due piccoli fori, non aveva naso e capelli, la sua bocca non era altro che un grosso buco vuoto. Era realmente una specie di pupazzo vivente, proprio come mi era sembrato appena l'avevo intravisto.
Dopo esserci guardati da vicino, quell'abominevole mostriciattolo  si sedette accanto a me e disse: « Adesso ci vedremo...» e sfilò dalla tasca  il suo  accendino di ferro in stile gotico che ritraeva un teschio, «insieme il film!» Subito dopo accese il sigaro e  continuò a dire con quella sua tetra boria: «Non credi che sia una bella idea?»
«Ma tu... da dove vieni e dove vivi!»
«Io, caro, vengo dall'oltretomba e vivo nella morte.»
«Chi diavolo sei!»
«L'hai appena detto... Il diavolo!», rispose sorridendo in modo sarcastico. 
Gli afferrai  rapidamente dalla mano l' accendino e corsi via.  Lanciai immediatamente quell'oggetto metallico in alto verso l'obiettivo del proiettore che, appena si ruppe, fece cessare quegli odiosi filmati.
Senza la luce del proiettore la sala del cinema divenne semibuia perché lo schermo cinematografico si era trasformato in una gigantesca lampada che emetteva una flebile luce come  un vecchio neon. Avevo  la profonda  sensazione di essere osservato da  un imponente e avverso occhio cupo.
Non avvertivo più nulla di pericoloso. I manichini e quel malvagio fantoccio che mi perseguitava scomparvero, finalmente.
M'incamminai, molto agitato e incuriosito, verso il grande schermo per osservare bene da vicino quella luce così rigida, tetra e terribilmente aliena. Mi venivano i brividi quando sfioravo con le dita il materiale sintetico di quella superficie bianca, illuminata internamente da qualcosa di artificiale e di ignoto ma allo stesso tempo grandioso e pauroso. Lo schermo sembrava l'occhio di un dio feroce.
La mia tragica sorte, però, non era ancora finita. Appena mi girai vidi che erano tornati gli spettatori di prima. Essi  mi applaudirono,  ma osservai che al posto degli occhi avevano due piccole telecamere con l'obiettivo illuminato di una luce rossa come quella del led. Erano dei cyborg.  Notai, in quel momento sconcertante, anche il mio corpo immobile come se fosse privo di vita, esattamente nel posto in cui ero stato seduto. Forse mi ero  addormentato e stavo  vivendo solo un brutto sogno. Quando tentai di tornare indietro, mi accorsi che non potevo  avanzare o indietreggiare perché ero completamente bloccato sulla superficie centrale  dello schermo. Era come se fossi rimasto incollato a quella parete luminosa che gradualmente mi stava divorando, o meglio mi stava assorbendo. Le mie energie fisiche diminuirono rapidamente. Notai  con la coda dell'occhio che sullo schermo, dietro alle mie spalle, c'era un  filmato  cinematografico d'epoca. I fotogrammi ritraevano le ali maestose e scure di un pipistrello ed erano in bianco e nero, tremolanti, con delle righe, leggermente sbiaditi e a tratti un po' sfocati e sgranati. Due enormi canini si trovavano un po' in  alto, esattamente  ai lati e dietro la mia testa. Osservai pure che le mani e le gambe stavano diventando gradualmente di plastica. Ancora una manciata di secondi e sarei stato trasformato in un anonimo manichino da vetrina di negozi. Ero finito nelle fauci di uno spettrale  vampiro sintetico e non riuscivo a liberarmene. Una fine orribile che non avrei mai voluto fare.  Profondamente turbato da un forte  stato di angoscia  e di delirio incontrollabile, urlai nell'abisso del cinema con la speranza di svegliarmi da quel terribile incubo.





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